Nel XX secolo - Cotonificio di Solbiate

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Nel XX secolo

Dopo un breve periodo all’inizio Novecento in cui la fabbrica confluì nella società Furter, venne fondata nel 1915 la Società Anonima Cotonificio di Solbiate.
Tramontata l’epoca degli industriali pionieri si apriva quella dei manager e dei tecnici che venivano dalla gavetta fatta all’interno delle fabbriche di filatura. Tra i principali investitori della nuova società c’era l’industriale piemontese di origine svizzera Emilio Wild,


   
                 

    
                  

che entrò in consiglio di amministrazione insieme a Ettore Ponti, al suo uomo di fiducia Federico Tobler, che assunse il ruolo di amministratore delegato, all’ingegnere Federico Rothpletz e a Biagio Gabardi. Era il gruppo di persone che guiderà il cotonificio durante i periodi difficili della Prima guerra mondiale, del primo dopoguerra e della depressione economica, che videro il cotonificio non solo non retrocedere dalle sue quote di mercato, ma addirittura guadagnarne di nuove grazie alle politiche aziendali che ne avevano sancito il successo nel periodo precedente: innovazione tecnologica, organizzazione del lavoro e abilità commerciale. L’azienda infatti avviò un periodo di espansione che determinò l’acquisizione del Cotonificio di Cormano e del Cotonificio del Seprio di Legnano. Non ebbero conseguenze nemmeno il ritiro di Emilio Wild e la morte di Ettore Ponti e di Federico Tobler, che coincisero con l’inizio dell’epoca fascista. I successivi presidenti Rothpletz e Gabardi strinsero ottimi rapporti con il nuovo regime, sanciti dalle celebrazioni per il centenario della fondazione della fabbrica che videro la partecipazione di importanti esponenti del governo. Lo stesso Mussolini diede la sua benedizione all’evento e ordinò l’ordinazione a cavaliere del lavoro di otto operai al servizio dell’azienda da oltre cinquant’anni.
Il periodo fascista fu comunque un periodo difficile per le aziende tessili, soprattutto a causa delle sanzioni internazionali successive all’invasione dell’Etiopia, che ridussero in modo drastico le importazioni di cotone. Ci fu pertanto la svolta verso l’autarchia e la sperimentazione di filati artificiali, ma anche un ulteriore stallo degli investimenti e del rinnovamento tecnologico. Il periodo della seconda guerra mondiale rappresentò l’ennesima svolta nella storia del Cotonificio, che perse la generazione di manager e tecnici che avevano fatto la fortuna dell’azienda. Le redini vennero prese da Alfredo Tobler,
fratello di Federico, che durante il periodo prebellico svolgeva il ruolo di direttore tecnico e ricoprì a lungo anche quello di podestà di Solbiate Olona. I bombardamenti del periodo della Liberazione risparmiarono in gran parte il patrimonio industriale dell’Alto milanese, che rimase praticamente intatto, ma l’azienda, così come le altre industrie italiane, dovette comunque affrontare il difficile periodo del dopoguerra. Venne in aiuto il periodo del boom economico e la crescita del PIL a doppia cifra nel periodo a cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, che ampliò il mercato interno e diede nuova impulso al cotonificio, che però sembrava aver smarrito la capacità di lettura dei mercati e la visione a lungo termine che aveva caratterizzato i tempi d’oro.



All’inizio degli anni ottanta, quando l’azienda venne acquisita dalle Cartiere Sottrici, la situazione era di profondo ritardo dal punto di vista tecnico e dell’organizzazione aziendale. Fu quindi necessario ricorrere a una nuova profonda ristrutturazione, l’ultima, che riallineò l’azienda su parametri di eccellenza a scapito però dell’occupazione, che vide un dimezzamento del numero degli operai. Purtroppo nemmeno questa operazione riuscì a salvare il Cotonificio di Solbiate, definitivamente affossato dal calo della domanda, dall’incapacità di trovare nuovi mercati e dai rovesci finanziari di Flavio Sottrici.
    La chiusura della produzione avvenne nel marzo del 1993.

La fabbrica rimase chiusa per alcuni anni, fino a quando l’immobile fu acquistato nel 1997 dall’imprenditore Luigi Marcora,

che decise di recuperare la struttura e di rilanciarla con la creazione della “Cittadella della carta”, un luogo dove si potesse compiere l’intero ciclo del riciclaggio della carta. Purtroppo la sua morte precoce e due successive e gravi inondazioni impedirono il completamento dell’opera.

 
 
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